Un paese che si spaventa perché
Berlusconi è tornato, mentre ride e gioisce quando immagina che il peggio sia
passato.
Un paese così è virtuale, vive di attese
e di fantasie che gli offrono la soluzione vantaggiosa per essere sereni.
Attese e soluzioni che vengono accettate perché si immagina siano scherzo o
miraggio di un bene che illusoriamente dovrà pur arrivare.
Nel mito platonico della caverna gli occupanti di quell’antro roccioso volgevano
le spalle all'ingresso e con gli occhi fissi verso l'interno vedevano riflessa
sulla parete l'ombra di quanti all'esterno passavano. In quell'ombra
riconoscevano la verità. A quelle ombre riconducevano il loro pensiero, i loro
timori, ma anche le loro sicurezze, i loro piaceri e desideri, seppur esigui. Non
avevano neppure il dubbio che fossero alienati rispetto alla condizione di
realtà.
La psicanalisi fortunatamente non aveva
ancora coniato quel neologismo. Ma
sempre fortunatamente non era neanche intervenuta nella vita sociale di quegli
uomini l’idea di un’investigazione scientifica di quel tipo.
Rimanevano costretti in quell'unico
spazio che la loro mente accettava come vero e reale, con le spalle alla luce,
sicuri di essere al riparo da sinistre sciagure che là fuori li avrebbero colpiti se solo avessero provato
a voltare la testa o avessero pensato di
avventurarsi per sentieri scoscesi e impervi che realizzavano un cammino
impossibile in un rovinoso mondo esteriore.
Meglio restarsene seduti all'interno,
dove il conforto di quella realtà conosciuta era evidente fosse causa e fine
del reale. Era certamente per loro reale. Certamente perché non ammetteva
neppure il riflesso di un dubbio.
Una bambina, in un altro mondo, molto
lontano dall’aria scura del mito endolitico di
Platone, si lamentava col papà
perché diceva che era limitato il suo giudizio sulla bontà del latte; anzi, il
suo giudizio era condizionato dalla sua età.
Nella realtà più prossima al tempo attuale
ci sono persone che non hanno maturato neppure la necessità di un linguaggio,
quindi vivono senza parole. Vivono fisicamente: molto spesso si esprimono
espellendo la voce a scatti, ridendo, se magari un comico spiega loro la
Costituzione. Altri trattengono il respiro per la commozione della poesia
contenuta in quegli articoli. Altri fisici ridono per le barzellette di
Berlusconi, e si commuovono per la poesia delle parole di Silvio. Bondi in un
impulso irrefrenabile di generosa e spontanea ispirazione, ha scritto persino
un volume di breve frasi meravigliose rivolte alla Bontà di Silvio, alla sua
generosità, alla sua umanità.
Tutte queste vite hanno attraversato e
superato le tappe evolutive di caratteri evolutivi più idonei della specie.
Sono vite di gente sopravvissuta all’azione fine della selezione naturale. Sono
persone scelte. Persone scelte da una selezione fine e spontanea. E questa
gente è e si sente spontanea. Così com’è.
Eppure questa gente fine non convince
fino in fondo. Non supera l’esame della ragione, di chi prova a dare forma a
una ragione, che rifiuta i loro show. C’è chi avverte che dietro i comici che
commuovono, dietro i politici che ridono e fanno ridere c’è quel sentimento
pirandelliano “del contrario”. Quel sentimento che riporta nella mente dello
scrittore agrigentino, cresciuto nel Caos della villa familiare posta sulla
spalla della collina, tra gli ulivi e i templi, l’immagine della lumaca che
posta sul fuoco “sfrigola” e si ritira, come se ridesse mentre muore e si
consuma.
Ci sono persone che si sentono avvilite dentro
questo mondo fatto di cose così scandalose.
Si avverte lo scandalo. Interviene la
“noia” e la “nausea”, valori spontanei che si davano come essere appartenuti a
persone e epoche passate. Da poco passate.
Invece questi valori spontanei, insieme
al mito della caverna, sono tornati dentro angoli di vite annoiate, che hanno
scoperto l’immagine nella connettività della rete. Hanno creato pagine
personali e bacheche, a cui affidare le lacrime dei resti di chi in passato è
stato anche capace di commuoversi intimamente per l’incontro e la visione in un
angolo di strada di un corpo ferito, abbandonato: lasciato in abbandono da chi
avrebbe dovuto pensare di sollevarlo.
Ci sono i ricordi di chi in passato ha
sentito doveroso comprendere l’affanno di popoli in fuga da guerre di liberazione,
e oltre a commuoversi per tutto quel dolore si è anche adoperato per dare
accoglienza e asilo a donne e bambini, martiri di un’umanità per nulla
commossa. Ci sono le lacrime di chi ha sentito un tremore nell’anima quando una
nave pesante di profughi affamati e infreddoliti ha ceduto alla furia del mare,
lasciando definitivamente morire quelle vite incolpevoli.
Queste persone ricche di un’umanità
sepolta, manifesta appena per un orgoglio mirante alla promozione di sé, sono i
figli di generazioni passate che hanno fatto la guerra, e la pace conseguente,
per dare loro un insegnamento di vita e un futuro. Illudendosi. Non avrebbero
mai immaginato che i figli potessero sviluppare solo facoltà tanto inutili e
basse, facendo il tifo su questioni di politica, di una politica civile, su
questioni di libertà, di liberalità, di valore umano, di calore umano, di
valori sovrumani che invitano tutti gli uomini a riconoscersi come il risultato di una volontà primigenia,
metafisca, spirituale o naturale: Dio o Gaia: Padre Eterno o Madre terra. Non
avrebbero mai pensato che i figli potessero tifare pro o contro Berlusconi, che
potessero piangere immaginando Fazio che esclude Anna Oxa o Albano dal festival
di san Remo, che sperassero in una sconfitta di Renzi alle primarie del Pd.
I loro padri e le loro madri hanno sperato
di lasciare loro un’eredità civile e umana dove lo scopo ultimo era la saggezza
di una vita spesa per migliorare le condizioni di vita di tutti.
Peccato che i figli sprecano la loro
vita all’ombra di sciagurati che li
fanno ridere o piangere tanto per divertirli, senza volere che maturino cattivi
pensieri. “E’ già triste così la vita, almeno un po’ di sano umorismo” ripetono
tra loro, pensando di essere capaci di cogliere il nesso culturale, politico e
artistico di uno show televisivo, magari di Berlusconi. Forse di Bersani. Renzi
non si nomina. Lo nomina solo D’Alema, che lo apprezza adesso che ha perso le
primarie.
I padri e le madri non hanno dato valore
a un uomo se cercava di comprarli con i soldi o che tentava di conquistarli facendoli
ridere. Sono stati in mezzo alla gente senza aver vergogna o paura di salutare
chi gli rivolgeva un saluto. Adesso è un’abitudine insultarsi.
I padri e le madri erano quegli animi
pieni di spirito umano che hanno avuto pietà per fatti che meritavano un sentimento
così delicato. Hanno provato pietà per chi varcava il cancello di una galera
per aver commesso un errore. E la stessa pietà l’hanno avuta per chi andava
oltre le sbarre senza nessuna colpa, senza aver commesso nessun errore. E’
stato l’errore dello Stato, troppe volte, a non aver saputo proteggere quella
persona dalla gogna e dal supplizio di una legge che l’ha ucciso nell’anima e
nel corpo.
Fatti gravi come questi, nella politica
in Italia, hanno solo toccato l’animo umano di Marco Pannella che è arrivato a
mettere a rischio la sua vita per dare voce a chi è stato reso invisibile
dentro il chiuso di una cella.
Ma Marco Pannella è la storia delle
lotte politiche per l’affermazione della libertà, sancita dalla Costituzione italiana.
Marco Pannella è i Radicali sono il
senso dello Stato, che garantisce te e gli altri nella legalità, contro coloro
che fanno ridere e piangere con il loro conportamento spregiudicato.
Le lotte Radicali sono impegno e rigore,
che si distinguono ora più che in altri tempi, ora che l’umanità smarrita e
avvilita non ha più bisogno di ridere. Chi ride veramente, intimamente,
spontaneamente lo fa con le persone che sente sincere, che parlano di cose
vicine, che ridono di cose che non offendono e non insegnano.
Un’umanità così per il piacere di un
istinto. Non ride per un coro che la vuole
armoniosamente idiota. Non ride davanti alla televisione. Ride con i
figli, con la moglie e il marito.
Un umanità che ride così ride perché un’altra
volta piange. Un pianto che non è disperazione. E’ solo un pianto vero. Un
pianto necessario. Un pianto di un’umanità che crede di poter ridere quando il
momento la vuole più leggera, più serena.
Nessun commento:
Posta un commento